Venerdì 3 marzo u.s i governi europei riuniti nel Consiglio dell’Unione Europea hanno rinviato l’approvazione definitiva del divieto alla vendita di nuovi veicoli a benzina e diesel dal 2035.
La norma era stata proposta per spingere il mercato delle auto europeo verso veicoli meno inquinanti, un pezzo molto importante dell’ambizioso piano dell’Unione Europea contro il cambiamento climatico, il noto Green Deal.
Il voto contrario dell’Italia, insieme a quello della Germania, fra i principali paesi produttori di automobili in Europa, ha pesato: la presidenza svedese del semestre UE ha quindi rinviato il voto sullo stop ai motori endotermici al 2035.
Troppe le problematiche oggettive e le concrete preoccupazioni emerse sulle misure utili a raggiungere l’obiettivo Emissioni Zero, evidenziate dai governi nazionali e dalle associazioni dell’automotive: dai tempi ridotti per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione contenuti nel pacchetto Fit for 55, alle modalità che non considerano l’importo di carburanti e-fuel e idrogeno, alle ripercussioni occupazionali e sociali che causerebbe l’orientamento totalizzante all’elettrificazione della mobilità.
Le perplessità espresse dal governo italiano, e da quelli di altri paesi, nei confronti della normativa sono principalmente legate alla scelta di indirizzare la transizione, di fatto, verso la sola mobilità elettrica, con la conseguente messa al bando di motori endotermici. Infatti, grazie ai progressi tecnologici degli ultimi anni e alla possibilità di essere alimentati con biocarburanti ed e-fuel, questi potrebbero affiancare le auto elettriche e rappresentare una valida alternativa per certe tipologie di utenti.
Fissare al 2035 il termine per mettere sul mercato soltanto motori a emissioni zero significa orientare il mercato dell’auto esclusivamente verso la mobilità elettrica, che a oggi è l’unica tecnologia sufficientemente matura per garantire l’azzeramento delle emissioni dirette. Tutto questo avrebbe pesanti ripercussioni sui componenti per motore prodotti dalle fonderie, che subirebbero un importante ridimensionamento della loro posizione strategica nell’ambito dell’automotive.
Sostituire in toto i motori endotermici con quelli elettrici causerebbe notevoli sconvolgimenti nel settore dei manufatti metallici, le fonderie, soprattutto per le imprese specializzate nella realizzazione di componenti per il gruppo propulsore: un motore elettrico contiene infatti circa il 70% di componenti fusi in meno rispetto a un motore endotermico.
Se l’unica tecnologia impiegata per azzerare le emissioni CO2 fosse quella elettrica, andremmo incontro a uno shock industriale europeo a favore di tecnologie che favoriscono Paesi extraeuropei. L’Europa è leader nelle tecnologie per la realizzazione dei motori a scoppio, mentre le competenze e le materie prime necessarie per produrre batterie e motori elettrici sono in larga parte concentrate al di fuori del nostro continente.
Affiancare alla mobilità elettrica altre soluzioni tecnologiche, inoltre, permetterebbe non solo di evitare shock che porterebbero alla riduzione del numero di imprese attive nella filiera europea dell’auto e, di conseguenza, dei posti di lavoro disponibili. Una scelta razionale di neutralità tecnologica permetterebbe di minimizzare l’impatto di molteplici rischi: un’eccessiva dipendenza dai Paesi extraeuropei per l’approvvigionamento delle materie prime necessarie per realizzare batterie e motori elettrici; l’indisponibilità di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili sufficiente per alimentare tutti i veicoli; la non adeguatezza dell’infrastruttura necessaria a sostenere un parco veicoli esclusivamente elettrico, non soltanto in termini di numero di colonnine installate, ma proprio di capacità di garantire l’energia elettrica richiesta senza incorrere in frequenti black-out.